Quaresima: tempo di preghiera
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In questo tempo di Quaresima il Signore ci chiede un dialogo più intenso del solito.
Come è possibile la vita cristiana se non si prega?
Nessun cristiano può reggersi sulle gambe senza la preghiera. Il cristiano senza la preghiera non ha nessuna forza in sé, perché la nostra forza è alimentata dall’incontro con Dio che avviene nell’orazione.
Pregare è difficile, ascoltare la voce di Dio ancora di più, perché la nostra testa è piena di chiasso. E’ necessario il silenzio; è necessario il deserto.
La Parola di Dio si fa sentire nelle rare pause di silenzio. La Parola di Dio prende il soppravento nel caos della vita, impone il silenzio e si fa sentire. In questi momenti si costata il vuoto della esistenza e svaniscono le false sicurezze. Bisogna allora resistere alla tentazione di fuggire e inoltrarsi nel deserto: solo nel deserto si può ascoltare la Parola che diviene carne. Nel deserto si lasciano tutte le comodità, le sicurezze, le certezze. Si avanza senza sapere se si troverà l’oasi dove rinfrescarsi, dove abbeverarsi. Si procede nella solitudine, nel silenzio, soli con se stessi non si ha altro a cui aggrapparsi che la preghiera. Nella preghiera si incontra Dio che istruisce e riempie tutti i burroni, spiana le montagne, raddrizza i sentieri.
Il deserto è, nella Sacra Scrittura, il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, così fu per Israele che vi dimorò per quarant’anni, per Elia che vi trascorse quaranta giorni, per il Battista che vi si ritirò dall’adolescenza. Gesù consacra questa consuetudine e vi abita anch’egli solitario per quaranta giorni. Per Gesù, però, il deserto non è soltanto il luogo del ritiro e dell’intimità con Dio, ma anche della lotta suprema, “dove veniva tentato dal diavolo”(Lc 2).
Anche per noi il deserto è un luogo ostile, arido, solitario.
Il deserto è un luogo dove nessuno vuole andare: comporta sacrificio, sopportazione, pazienza, tolleranza. Il deserto spirituale è un luogo solitario, sconosciuto; può anche apparire ostile, ma in questo luogo posso incontrare Cristo, posso udire la voce di Dio, posso ascoltare la Sua Parola, posso istruirmi alla Sua scuola. Se mi decido a stare nel deserto, se mi convinco che nel deserto, solo nel deserto si incontra Dio, nel silenzio del deserto si ode la Sua voce: il deserto si trasforma in un giardino pieno di delizie, il deserto diviene fonte d’acqua viva a cui attingere con gioia. E questo può succedere solo se abbandono me stesso, mi spoglio del mio io per sostituirlo col “Suo Io”, se faccio incarnare in me Cristo, se lo nutro, lo accudisco, lo proteggo con amore. Solo allora il deserto si trasformerà in un luogo verdeggiante, fresco e ospitale: sarà così perché avrò trovato Dio, il Dio che mi chiama e attende da sempre.
Di questo incontro non ne siamo sempre consapevoli, più spesso lo siamo in maniera indistinta, a volte ci poniamo dinanzi a Lui solo per un atto di fede, senza essere consapevoli della Sua presenza. Non è il grado della nostra consapevolezza che conta, nell’incontro, ma devono realizzarsi altre condizioni, e quella basilare è che chi prega sia una persona autentica.
Nella vita la nostra personalità è caratterizzata da una molteplicità di aspetti. Infatti, una stessa persona è conosciuta in un certo modo in un ambiente e del tutto diversamente in un altro. Siamo così disabituati ad essere noi stessi in senso profondo e vero che ci sembra quasi impossibile ricercare il vero “me stesso”. Allora per prima cosa dobbiamo cercare la verità con Dio, con noi stessi e con gli altri, per la semplice ragione che lo Spirito Santo è spirito di verità.
Altro fondamento per la preghiera è l’umiltà come atteggiamento di chi sta continuamente davanti a Dio. E’ l’atteggiamento di chi è come il terreno. Il termine umiltà deriva dalla parola latina humus = terreno fertile. Il terreno fertile è là, inosservato, sempre pronto ad essere calpestato, e la sua presenza è data per scontata. E’ silenzioso, non appariscente, scuro, eppure è sempre pronto a ricevere il seme e a fornirgli tutto ciò che serve a farlo germogliare: dona la vita. È così basso, che niente può sporcarlo, umiliarlo, niente può distruggere la sua serenità dell’anima, la sua pace e la sua gioia.
Quando il re Davide danzava di fronte all’arca (2Sam 6,14), molti lo videro, come Mikal, la figlia di Saul, e pensarono che il re fosse impazzito, che quello non fosse un comportamento dignitoso. Probabilmente si allontanarono imbarazzati. Ma Davide era troppo pieno di gioia per notarlo.
Accade lo stesso con il dolore, quando è autentico e profondo una persona diventa vera, questo è l’aspetto più prezioso della sofferenza. Il problema è che quando soffriamo o gioiamo e diventiamo autentici, non siamo nello stato d’animo adatto per guardare in noi stessi e osservare i tratti della nostra personalità. Se stiamo più attenti, se non passiamo con leggerezza da uno stato d’animo ad un altro e da un sentimento ad un altro, possiamo imparare gradualmente, e con l’aiuto di Dio, a conoscere noi stessi. Parecchi scrittori spirituali affermano che dobbiamo cercare di scoprire Cristo in noi, dobbiamo incarnare le parole di Cristo in noi stessi. Ciò non significa che dobbiamo imitare Cristo nel suo modo di esprimersi esteriore, ma essere interiormente ciò che Egli è.
Imitare Cristo non significa scimmiottare la sua vita o il suo modo di essere; è una lotta dura e complessa. Una volta Cristo disse ai suoi discepoli: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Per camminare sulla via di Cristo dobbiamo allora pregare incessantemente, invocare l’aiuto del Signore che correrà a noi: “Voi non ottenete, perché non chiedete”. Allora chiediamo, insistiamo fino a quando non ci sarà aperto.
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