Dal profondo a te grido, Signore (Salmo 129)
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Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera.
Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi potrà sussistere?
(Salmo 129)
Questo è il grido che sale alle nostre labbra, la forma più elementare e primitiva di preghiera. Siamo tentati di gridare la nostra disperazione … questa tentazione potrebbe apparire debolezza, ma non lo è affatto!
Osare di esprimere davanti a Dio la nostra disperazione con un grido è estremamente importante: è questa la preghiera!
Gridare è umano: è stata la prima cosa che abbiamo imparato appena venuti al mondo. È il grido vitale: i polmoni del nascituro si aprono con il grido alla vita facendo penetrare l’aria negli alveoli. Il nostro primo grido ci salva dalla morte. Questo grido rimane impresso nella nostra anima e segna tutta la nostra vita futura.
Gesù morì gridando: “Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: ‘Ecco, chiama Elia!’. Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: ‘Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce’. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. (Marco 15, 34-37).
La Sua morte fu un grido angosciato ma pieno di fiducia, una preghiera autentica … un esempio per tutti noi. Fu anche una Pentecoste, come scrive San Giovanni che usa il verbo “effuse lo spirito” con un duplice significato: rendere l’ultimo respiro di vita, ma anche indicando, donare lo Spirito ai suoi discepoli.
Impariamo da Giobbe a gridare, impariamo riprendendo quel grido impresso in noi alla nascita.
Grido che diviene invocazione nella quale risuonano molte altre grida: c’è il mio grido, quello della mia nascita; c’è il grido del mio peccato e della mia impotenza; ci sono le imprecazioni di Giobbe e i lamenti del salmista; c’è il grido dell’angoscia e dell’abbandono di Gesù sulla croce.
Attraverso tutte queste grida, riesco a penetrare fino al grido più fondamentale in me, il grido che ancora non ho mai saputo ascoltare bene, quello dello Spirito Santo che “intercede per noi con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26). Solo così questo grido potrà diventare, poco alla volta, il mio grido personale.
La preghiera è unirsi allo Spirito Santo e lasciar sgorgare, incessantemente, il Suo mormorio in noi verso il cielo.
Beato colui che percepisce l’eco di questo grido e lo riesce a fare diventare la propria preghiera!
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